Ricorso per conflitto di attribuzioni fra poteri dello  Stato,  ai
 sensi  dell'art.  134 della Costituzione della Repubblica e dell'art.
 37 della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  fra  il  procuratore  della
 Repubblica  presso il tribunale ordinario di Milano e il Senato della
 Repubblica,  in  relazione  alle  autorizzazioni  a   procedere   nei
 confronti  del sen. Severino Citaristi, in parte concesse ed in parte
 negate nella seduta 18 marzo 1993 del  Senato  della  Repubblica,  in
 ritenuta  violazione  delle  disposizioni  di cui agli artt. 68, 101,
 102, 104 e 112 della Costituzione della Repubblica;
    Letti gli atti del procedimento penale n. 8655/92 r.g.n.r. mod 21;
    Viste in particolare le richieste di  autorizzazione  a  procedere
 formulate  in  data  6 novembre 1992 e 16 dicembre 1992 nei confronti
 del sen. Severino Citaristi;
    Vista altresi' la nota in data 18  marzo  1993  con  la  quale  il
 Presidente  del  Senato  della  Repubblica  comunicava  le  decisioni
 dell'assemblea sulle mezionate richieste;
    Propone conflitto di attribuzione con il Senato  della  Repubblica
 in relazione alla deliberazione stessa, per i seguenti
                              M O T I V I
    1. - Premessa.
    Questa   autorita'   giudiziaria   procede  per  svariati  episodi
 qualificati come delitti contro  la  pubblica  amministrazione  o  in
 danno  della stessa, violazioni della normativa sul finanziamento dei
 partiti, ricettazione ed altro nei confronti di numerose persone.
    Nell'ambito di tale procedimento sono state  inoltrate  al  Senato
 della  Repubblica,  in  data  6 novembre 1992 e 16 dicembre 1992, due
 richieste  di  autorizzazione  a  procedere  (allegati  1  e  2)  nei
 confronti del sen. Severino Citaristi, gia' segretario amministrativo
 della  democrazia  Cristiana, per vari episodi di ricezione di denaro
 versato  da  imprenditori  in  relazione  ai  rapporti   da   costoro
 intrattenuti  con  la  pubblica  amministrazione,  ciascuno dei quali
 iscritto nel registro generale delle notizie di reato come ipotesi di
 corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio e violazione  della
 normativa sul finanziamento dei partiti.
    Con  note  n.  1992.7.46  e  1992.7.59  in  data 13 aprile 1993 il
 procuratore generale della Repubblica presso la  corte  d'appello  di
 Milano  restituiva  gli  atti  inviati  al Senato e trasmetteva copia
 della nota in data 18 marzo 1993  del  Presidente  del  Senato  della
 Repubblica (allegati 3 e 4), informando che nella seduta del 18 marzo
 1993 il Senato della Repubblica aveva cosi' deliberato:
      I)  quanto  alla richiesta in data 6 novembre 1992: di concedere
 autorizzazione a procedere limitatamente ai capi: b), d), f), h),  di
 negarla per i capi: a), c), e), g);
      II) quanto alla richiesta in data 16 dicembre 1992: di concedere
 autorizzazione  a  procedere  limitatamente  ai  capi: b), d), g), di
 negarla per i capi: a), c), e), f).
    I capi per i quali e'  stata  concessa  autorizzazione  riguardano
 ipotesi  di  violazione  della  legge  sul finanziamento dei partiti,
 mentre i capi per i quali e' stata  negata  attengono  a  delitti  di
 corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio.
    2. - Profili relativi alla legittimazione ad elevare conflitto.
    Ai sensi dell'articolo 37 della legge n. 87/1953, il conflitto tra
 poteri dello Stato e' risoluto dalla Corte costituzionale, se insorto
 tra  organi  competenti  a dichiarare definitivamente la volonta' del
 potere cui appartengono.
    Nel caso di specie, ci si duole della decisione del  Senato  della
 Repubblica sulla richiesta di autorizzazione a procedere avanzata nei
 confronti  del  sen. Citaristi, in conseguenza della quale, ad avviso
 dell'organo   ricorrente,   viene    illegittimamente    condizionato
 l'esercizio  dell'azione  penale, obbligatoria ai sensi dell'art. 112
 della Costituzione, e come tale soggetta solo alla  legge,  salvo  il
 controllo del giudice.
    Nel  vigente  ordinamento titolare del potere-dovere di esercitare
 l'azione penale e' il  pubblico  ministero,  con  l'unica  eccezione,
 posta  con  legge costituzionale, del collegio inquirente per i reati
 ministeriali.
    Ne consegue che organo competente a dichiarare definitivamente  la
 volonta'  dello  Stato  in ordine all'esercizio dell'azione penale e'
 l'ufficio del pubblico  ministero  procedente,  che,  pertanto,  deve
 ritenersi legittimato a proporre conflitto di attribuzione.
    Non ignora questo ufficio che, in piu' occasioni, codesta Corte ha
 escluso   la   legittimazione  del  pubblico  ministero  a  sollevare
 conflitto  di  attribuzioni  (ordinanza  n.  16/1979;   sentenza   n.
 52/1976).  Va  tuttavia osservato che, nel caso in esame, il pubblico
 ministero agisce a difesa di attribuzioni che gli  sono  riconosciute
 in  via  diretta ed esclusiva dalla norma costituzionale (art. 112) e
 non   dalla   legge   ordinaria.   Quando   dovesse   eslcudersi   la
 legittimazione   del   pubblico   ministero,   nessun   altro  organo
 dell'ordine   giudiziario,    ancorche'    titolare    di    funzioni
 giurisdizionali,   sarebbe   competente   a  sollevare  conflitto  di
 attribuzione in relazione all'esercizio dell'azione  penale.  Non  il
 g.i.p.,  il  quale,  ove non condivida le determinazioni del pubblico
 ministero in ordine all'esercizio  dell'azione  penale  (rectius:  al
 mancato  esercizio),  puo'  disporre  la  redazione  coatta  del capo
 d'imputazione, che e' comunque atto proprio del  pubblico  ministero.
 Non  il  giudice  del  dibattimento,  la cui funzione giurisdizionale
 presuppone  l'esercizio  dell'azione  penale,   atto   genetico   del
 processo.
    Del  resto  la  legittimazione  del pubblico ministero a sollevare
 conflitto in ordine al diniego di autorizzazione a procedere,  lesivo
 delle  attribuzioni riservategli dall'art. 112 della Costituzione, si
 coglie a  contrario  ove  si  consideri  l'ipotesi  in  cui  l'organo
 d'accusa,  malgrado il diniego dell'assemblea legislativa, proceda ad
 indagini  ed,  eventualmente,  eserciti  l'azione  penale.   Non   e'
 dubitabile  che, in siffatta ipotesi, l'assemblea sarebbe legittimata
 a  tutelare  le  proprie  prerogative  costituzionalmente  rilevanti,
 attraverso  il  procedimento  previsto  dagli  artt. 37 e segg. della
 legge 11 marzo 1953, n. 87, gia' nei confronti dello stesso  pubblico
 ministero  procedente,  e  senza  dover  attendere  l'intervento  del
 giudice (si pensi ai casi di perquisizioni  personali  o  domiciliari
 disposte dal pubblico ministero).
    Cio' dimostra la legittimazione del pubblico ministero a sollevare
 conflitto in questa materia.
    3. - Profili relativi alla ammissibilita' del conflitto.
    Ai  sensi  dell'art.  68, secondo comma, della Costituzione, senza
 autorizzazione  della  camera  di  appartenenza  nessun  membro   del
 Parlamento puo' essere sottoposto a procedimento penale.
    Attraverso  la  deliberazione  richiamata  in  premessa, il Senato
 della   Repubblica    ha,    dunque,    esercitato    una    potesta'
 costituzionalmente prevista.
    Ritiene tuttavia questo ufficio che l'esercizio di siffatto potere
 possa  essere  sindacato  dalla  Corte costituzionale, ai sensi degli
 artt. 37 e segg. della legge n. 87/1953, allorquando, mediante il suo
 uso non conforme ai principi della Costituzione, siano state lese  le
 attribuzioni di altri poteri dello Stato.
   Ed  invero,  la ragion d'essere dell'art. 68 della Costituzione non
 e' quella di garantire una insindacabile area d'impunita'  ai  membri
 del  parlamento,  che non possono ritenersi legibus soluti, ma quella
 di garantire la liberta' e l'autonomia delle Camere. Ne consegue  che
 il  potere  delle  Camere,  pure amplissimo, non e' arbitrario, ma e'
 obbiettivamente limitato dalla funzione per cui e' previsto  e  dalle
 attribuzioni  costituzionalmente  riservate  agli  altri poteri dello
 Stato.
    In tal senso, e'  significativo  il  precedente  costituito  dalla
 sentenza  n. 1150/1988 della Corte costituzionale, con la quale si e'
 riconosciuta   l'ammissibilita'   del   "conflitto   da   lesione   o
 menomazione" sollevato dalla corte d'appello di Roma in ordine ad una
 deliberazione  del  Senato  secondo  cui  i fatti per i quali pendeva
 giudizio civile presso gli uffici giudiziari di Roma erano ricompresi
 nella prerogativa  della  insindacabilita',  prevista  dall'art.  68,
 primo  comma,  della  Costituzione.  In  tale  circostanza  la Corte,
 ammettendo  il  conflitto  di  attribuzioni  sollevato  dalla   corte
 d'appello di Roma, ha emunciato il seguente principio:
      "  ..  In  quanto  e'  attribuito  nei  limiti della fattispecie
 indicata nell'art. 68,  primo  comma,  e  solo  entro  questi  limiti
 legittimamente  esercitato,  il potere valutativo delle camere non e'
 arbitrario o  soggetto  soltanto  ad  una  regola  interna  di  self-
 restraint.   Nella  nostra  Costituzione,  che  riconosce  i  diritti
 inviolabili  dell'uomo  (tra  cui  il  diritto  all'onore   ed   alla
 reputazione)  come  valori  fondamentali dell'ordinamento giuridico e
 prevede un organo  giurisdizionale  di  garanzia  costituzionale,  il
 detto  potere  e'  soggetto ad un controllo di legittimita', operante
 con lo strumento del conflitto di attribuzione a  norma  degli  artt.
 134 della Costituzione e 37 e segg. della legge n. 87/1953, e percio'
 circoscritto  ai  vizi  che  incidono,  comprimendola, sulla sfera di
 attribuzioni della autorita' giudiziaria ..".
    In  ordine agli altri requisiti di ammissibilita' del conflitto va
 rilevato che:
      il Senato della Repubblica, nel momento del voto assembleare, e'
 certamento organo idoneo ad affermare definitivamente la volonta' del
 potere che rappresenta;
      il procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario di
 Milano e', secondo le  vigenti  disposizioni,  organo  competente  ad
 affermare  definitivamente,  in questa fase, la volonta' del pubblico
 ministero, nell'ambio del procedimento di cui si e' detto.
    4. - Profili di diritto.
    Ai sensi degli  artt.  101,  102,  104  della  Costituzione  della
 Repubblica, l'ordine giudiziario e' indipendente da ogni altro potere
 e  la  funzione  giurisdizionale  -  regolata  legislativamente  - e'
 esercitata da magistrati ordinari.
    Ai sensi dell'art. 112 della  Costituzione  della  Repubblica,  il
 pubblico   ministero,   che  dell'ordine  giudiziario  fa  parte,  ha
 l'obbligo   di   esercitare   l'azione   penale   -    nelle    forme
 legislativamente  previste  - al fine di sottoporre alla decisione di
 un giudice soggetto soltanto alla legge le sue  determinazioni  sulla
 fondatezza  delle notizie di reato che gli pervengono e sui risultati
 di  eventuali  indagini  da  lui  compiute.   Nel   vigente   modello
 processuale,  l'atto  di esercizio dell'azione penale si colloca alla
 fine delle indagini preliminari ed e' costituito  dalla  attribuzione
 specifica a taluno, nelle forme indicate dall'art. 405 del c.p.p., di
 un fatto storicamente determinato e giuridicamente qualificato.
    L'art.  68  della  Costituzione della Repubblica, nel prevedere la
 necessita' di autorizzazione per dar corso a procedimento penale  nei
 confronti  di  parlamentari, non individua esso stesso che cosa debba
 intendersi per "procedimento penale", sicche', sul piano tecnico,  il
 contenuto di tale disposizione va desunto dalla legislazione vigente,
 secondo  la  quale  il  procedimento  penale ha come atto genetico la
 notizia di reato, seguita, di regola, dalle indagini preliminari.
    Queste, dunque, si svolgono in relazione ad un  fatto  che  appare
 essere   penalemente   rilevante,   cui   sara'   data  una  compiuta
 qualificazione giuridica nel momento di esercizio dell'azione penale,
 attraverso  la  formulazione  della  imputazione,  atto  proprio  del
 pubblico ministero.
    Ne   consegue   che,   nella   fase  delle  indagini  preliminari,
 autorizzare  l'autorita'  giudiziaria  a  sottoporre  un  membro  del
 Parlamento  a  procedimento  penale significa autorizzare il pubblico
 ministero a svolgere le indagini necessarie in relazione ad un  fatto
 per le conseguenti determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione
 penale  e  con  la  qualificazione  giuridica necessaria ai soli fini
 dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato.
    In tale fase non vi e' spazio per un'imputazione in senso  tecnico
 (si  noti,  al  riguardo,  che  il termine "imputazione" compare solo
 nell'art. 405 del c.p.p., mentre prima si parla di fatto e  di  norme
 di  legge  che  si assumono violate, cfr.  artt. 375, 343 e 111 delle
 disp. att. e 292 del c.p.p.).
    La Camera alla quale appartiene la persona sottoposta ad indagini,
 investita della richiesta di autorizzazione a procedere in  relazione
 ad un determinato fatto che appare essere penalmente rilevante (avuto
 riguardo   alla  qualificazione  giuridica  attribuita  dal  pubblico
 ministero  richiedente),  puo'  deliberare  di  concedere o di negare
 l'autorizzazione.
    Per contro non puo' ad avviso di  questo  ufficio,  ingerirsi  nei
 profili  della  ricostruzione  del  fatto  o della sua qualificazione
 giuridica,  attribuzioni  riservate  dalla   Costituzione   e   dalla
 legislazione  vigente  alla  autorita' giuridiziaria e, nella fase di
 esercizio dell'azione penale, al pubblico ministero.
    5. - Profili di fatto.
    Nel caso di specie, ogni singolo episodio di versamento di  denaro
 al sen. Citaristi, descritto in ciascuna notizia di reato pervenuta a
 suo  carico,  e'  idoneo,  ad avviso di questo ufficio, a legittimare
 indagini (ne' altro puo' pretendersi atteso il  termine  strettissimo
 che  deve  intercorrere  tra  l'iscrizione  del  nome dell'indagato e
 l'inoltro della richiesta di  autorizzazione)  in  relazione  sia  ad
 ipotesi  di  violazioni della normativa sul finanziamento dei partiti
 politici, sia ad ipotesi di reato contro la pubblica amministrazione,
 sicche' e' stata iscritta sotto il titolo degli artt. 7  della  legge
 n.  195/1974  e 4 della legge n. 659/1981 e sotto il titolo del reato
 di cui all'articolo 319 del c.p.
    Si e'  in  presenza  di  un'ipotesi  tipica  di  concorso  formale
 eterogeneo,  ossia  di  una  condotta  -  la ricezione di denaro come
 corrispettivo di una pluralita' di atti amministrativi - che  integra
 violazioni di diverse norme incriminatrici.
    Pertanto,  non  si e' in presenza di diversi fatti, ma di un unico
 fatto, per ogni episodio  storico,  riconducibile  a  diverse  figure
 delittuose.
    La  inscindibilita' in concreto fra le due figure di reato (almeno
 nella fase delle indagini preliminari) peraltro si coglie agevolmente
 ove si consideri che la illiceita'  del  finanziamento  si  e'  fatta
 derivare  non  solo dal mancato rispetto delle forme di pubblicita' e
 di trasparenza previste dalla legge, ma anche dalla  circostanza  che
 trattavasi di finanziamenti comunque vietati dalla legge, per l'ovvia
 ragione che integravano gli estremi del reato di corruzione propria.
    Ne'  tale  assunto puo' essere revocato in dubbio obbiettando che,
 in relazione  alle  due  diverse  norme  incriminatrici,  sono  state
 redatte  distinte ipotesi d'imputazione, giacche' l'identita' storica
 dei fatti contestati e' evidente (la ricezione del denaro e' elemento
 costitutivo del reato di corruzione e, nello stesso tempo,  fatto  di
 consumazione  del  reato  di illecito finanziamento) e la distinzione
 per capi e' frutto di una scelta  di  comodita'  espositiva,  dettata
 anche dalla circostanza che per alcuni episodi di ricezione di denaro
 puo' procedersi in ordine soltanto al reato di corruzione, poiche' il
 reato di finanziamento illecito e' coperto da amnistia.
    Del  resto, la sussistenza, in relazione alle condotte contestate,
 del concorso formale eterogeneo era nota al Senato,  giacche',  nella
 relazione della giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari,
 si legge testualmente:
      "  .. Piu' complesso problema giuridico si e' posto alla giunta,
 sia pure all'interno del proprium  dell'autorizzazione  a  procedere,
 per  cio'  che concerne i capi A), C), E) ed F) della richiesta. Tali
 imputazioni,  infatti,  nei  medesimi  fatti  gia'  contestati   come
 violazione  delle  norme  sul  finanziamento  dei  partiti  politici,
 individuano la concorrenza formale di reati di  corruzione  per  atti
 contrari  a  doveri d'ufficio .." (rel. della giunta delle elezioni e
 delle immunita' parlamentari, doc. IV, n. 74.A, pag. 3).
    Va altresi' rilevato, sul piano procedurale, che il  Senato  della
 Repubblica non ha votato distintamente su ogni capo d'imputazione, ma
 per   blocchi   di   contestazioni,  individuati  in  relazione  alla
 qualificazione giuridica del fatto.
    Tale modalita' di voto e' indice sintomatico  dello  sconfinamento
 di attribuzioni posto in essere dal Senato. Attraverso tale procedura
 infatti   l'assemblea  non  ha  potuto,  ne'  poteva,  apprezzare  la
 corrispondenza  tra  singoli  fatti  e  la  qualificazione  giuridica
 attribuita  nelle  richieste,  ma  solo  esprimere interpretazioni di
 ordine generale in tema di diritto penale  sulla  applicazione  della
 legge.
    Tale   attivita'   puo'  essere  svolta  mediante  interpretazione
 autentica, attribuzione del legislatore nel suo complesso, e solo con
 le forme di un atto avente forza di legge, e non da parte di una sola
 delle assemblee legislative con un atto  quale  la  deliberazione  su
 richiesta di autorizzazione a procedere.
    Del  resto, che la deliberazione del Senato abbia sconfinato dalle
 attribuzioni costituzionalmente riservate ex art. 68, secondo  comma,
 della  Costituzione  si  evince da alcuni passi della relazione della
 giunta delle elezioni e  delle  immunita'  parlamentari,  laddove  si
 fonda  la  proposta  di  voto,  integralmente accolta dall'assemblea,
 sulle seguenti argomentazioni:
      " .. Ne' e' sfuggito alla riflessione  della  maggioranza  della
 giunta  un  dato  emergente alla propria complessiva esperienza e che
 dimostra come comportamenti  sostanzialmente  identici  vengono,  nel
 difficile  momento  in  cui  il  paese  vive,  contestati a carico di
 parlamentari e  sul  presupposto  pacifico  che  essi,  al  di  fuori
 dell'esercizio  della  funzione legislativa non rivestono la qualita'
 di pubblici  ufficiali,  a  volte  come  violativi  della  legge  sul
 finanziamento   dei   partiti  politici,  a  volte  come  ipotesi  di
 corruzione ovvero di concussione, a volte come ipotesi di  estorsione
 o  di  ricettazione.  E  cio'  come mero effetto della diversita' dei
 luoghi dove i fatti stessi vengono accertati  e  quindi  dei  diversi
 ambiti  territoriali  di  attribuzione della funzione inquirente alle
 diverse autorita'  giudiziarie  procedenti.  Sicche'  in  discussione
 appare  non  soltanto  il  valore della tipicita' dell'incriminazione
 penale, ma anche  quello  della  uniforme  applicazione  della  legge
 sull'intero  territorio  nazionale  .." (relazione della giunta delle
 elezioni e delle immunita' parlamentari, pag. 5).
    Ed ancora:
      " .. Su tali  basi  la  maggioranza  della  giunta  ha  ritenuto
 corretta  e  fondata  la  tesi  secondo  cui  non  e'  possibile  una
 individuazione degli estremi del reato di corruzione, sino  a  quando
 non  si  e'  individuato  (se  non con estrema precisione il pubblico
 ufficiale o l'incaricato del pubblico servizio colpevole del concorso
 nella contestata corruzione) almeno l'ufficio  del  quale  lo  stesso
 faccia   parte   o  almeno  l'ambito  funzionale  nel  quale  sarebbe
 intervenuto un qualche atto rispetto al quale operare la  valutazione
 della  conformita'  o contrarieta' ai doveri d'ufficio e cio' ai fini
 della distinzione, pur dovuta, tra le ipotesi di  corruzione  propria
 ed  impropria,  che  distintamente  il nostro codice penale prevede e
 punisce. La valutazione che nella giunta ha avuto  la  prevalenza  e'
 quindi conforme all'avviso espresso dal g.i.p. nella vicenda in esame
 o  in altre ad essa collegate, che appare, tra l'altro, fondato su un
 orientamento giurisprudenziale del tutto consolidato al  quale  nella
 memoria depositata dal sen. Citaristi si e' fatto ampio e documentato
 riferimento .." (idem).
    Dunque   il   Senato   si   e'   assunto   non   solo  un  compito
 d'interpretazione  della  legge  penale   (valore   della   tipicita'
 dell'imputazione,  selezione  degli  orientamenti  giurisprudenziali,
 distinzione tra  corruzione  propria  ed  impropria),  ma  anche  una
 funzione di nomofilachia.
    Incidentalmente va rilevato che le diverse valutazioni intervenute
 tra  questo ufficio ed il giudice per le indagini preliminari, cui si
 fa espresso richiamo nella relazione, sono state risolte dalla  Corte
 di  cassazione  (essa  si'  titolare della funzione di vegliare sulla
 esatta ed uniforme applicazione del diritto sul territorio nazionale)
 con l'accoglimento delle tesi dell'organo d'accusa.
    La giunta (e poi l'assemblea, approvando la relazione)  ha  omesso
 altresi'  di considerare che la individuazione del pubblico ufficiale
 potra' essere il frutto delle indagini per le quali e' stata  chiesta
 l'autorizzazione e non la condizione pregiudiziale per lo svolgimento
 delle indagini stesse.
    Singolare  appare  poi  la  tesi  (pure  svolta nella relazione di
 maggioranza) secondo la quale questo ufficio avrebbe potuto comunque,
 in virtu' dell'autorizzazione  parziale  concessa,  proseguire  nelle
 indagini   ed   eventualmente,   alla  luce  di  nuove  acquisizioni,
 richiedere nuova autorizzazione a procedere.
    Di fronte alla denegata autorizzazione  questo  Ufficio  non  puo'
 svolgere  alcuna  indagine  (se  non  sui  concorrenti nel reato - ma
 questa e' altra questione) sul fatto per il quale l'autorizzazione e'
 stata negata e deve richiedere l'archiviazione.
    Inoltre un'autorizzazione a procedere parziale, ossia  limitata  a
 determinate  qualificazioni  giuridiche  del fatto, si traduce, nella
 sostanza, in una autorizzazione a procedere "condizionata", nel senso
 che si subordina,  di  fatto,  l'esercizio  dell'azione  penale  alla
 possibilita'  di  ravvisare,  in  relazione  ad un fatto, solo talune
 ipotesi  di  reato.  E  non  sembra  che  l'atto  di  autorizzazione,
 irrevocabile, possa essere soggetto a termini od a condizioni.
    6. - Conclusioni.
    Il Senato della Repubblica autorizzando, quanto a ciascuna notizia
 di  reato  e  fattispecie,  il  procedimento  soltanto per taluno dei
 titoli di reato ipotizzati  ha  sconfinato  dalle  sue  attribuzioni,
 invadendo  quelle  della  autorita'  giudiziaria,  sola  competente a
 ricostruire i fatti ed a qualificarli secondo diritto.
    Pertanto, deve  essere  richiesto  alla  Corte  costituzionale  di
 dichiarare  che  spetta  alla  autorita'  giudiziaria, ed al pubblico
 ministero in sede di indagini preliminari e di esercizio  dell'azione
 penale, ricostruire il fatto e deciderne la qualificazione giuridica,
 mentre  alla Assemblea legislativa di appartenenza spetta concedere o
 negare l'autorizzazione a procedere in relazione a tale ricostruzione
 ed a tale qualificazione giuridica, senza possibilita' di modificarli
 ovvero di apporre condizione o termine alla concessa autorizzazione.
    Conseguentemente  dei  parziali  dinieghi  di   autorizzazione   a
 procedere,  di cui alla seduta in data 18 marzo 1993 del Senato della
 Repubblica, va richiesto l'annullamento con rinvio allo stesso organo
 per una nuova deliberazione.
    Si  osserva  infine,  sotto  il  profilo  processuale,  che questo
 ufficio deve ritenersi legittimato a stare direttamente in giudizio a
 mezzo dei magistrati che ne hanno  la  rappresentanza  sia  ai  sensi
 dell'art.  37  della legge n. 87/1953, e dell'art. 26 D.C.C. 16 marzo
 1956, sia in  applicazione  dei  principi  generali  dell'ordinamento
 giudiziario,  per  i  quali il pubblico ministero, quando e' titolare
 della legittimazione sostanziale, lo e' anche di quella  processuale,
 come della ius postulandi.